Lo stoccaggio di anidride carbonica in foresta – Giulia Giraudo
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Lo stoccaggio di anidride carbonica in foresta

Gran parte delle risorse disponibili sulla Terra sono state inizialmente prodotte e concentrate dalle piante al loro interno, grazie alla trasformazione dell’energia solare in energia chimica. Questo processo, conosciuto con il nome di fotosintesi e riportato di seguito, riesce a trasformare i raggi luminosi e l’anidride carbonica presente nell’ atmosfera in zuccheri, molecole ad alto contenuto energetico, ed in ossigeno, gas liberato in atmosfera ed indispensabile per la vita.

energia solare + 6H2O + 6CO2 -> C6H12O6 + 6O2

Il carbonio stoccato all’interno di una pianta vi rimane fino a quando questa non perisce e si decompone, oppure finché non si verifica la combustione. Se invece la pianta continua a vegetare o se il suo legno viene impiegato dall’uomo per realizzare costruzioni o manufatti il carbonio presente all’interno vi rimane sequestrato per la loro intera durata in opera.


Non tutto il carbonio delle piante viene utilizzato per la loro crescita, una parte viene traslocata dalle radici al suolo: se indisturbato, tale carbonio si stabilizza e resta nel terreno per migliaia di anni. Pertanto, un suolo in condizioni ottimali svolge un importante ruolo nella mitigazione del cambiamento climatico.
Negli ecosistemi forestali lo stoccaggio del carbonio può avvenire in differenti “compartimenti” legati alla vegetazione oppure al sistema suolo.

Schema degli stock di carbonio negli ecosistemi forestali (modificato da Lal 2005)

Il sistema suolo è composto da tre fasi: solida, liquida e gassosa. Nella frazione gassosa del suolo la composizione è simile a quella atmosferica. La differenza sostanziale è la saturazione, data dal vapore acqueo e dall’abbondanza dell’anidride carbonica a causa della respirazione autotrofa ed eterotrofa. In superficie, di solito, l’anidride carbonica è in equilibrio con l’atmosfera.

La concentrazione di CO2 è molto variabile nelle stagioni ed aumenta con la profondità, nonostante diminuiscano le attività biotiche, perché gli scambi con atmosfera sono più difficoltosi. Nella fase liquida, invece, l’anidride carbonica del suolo ha un’elevata solubilità che dipende da vari fattori, tra cui la temperatura.
Nei terreni composti da torba, la materia organica contenente carbonio non si decompone grazie ai bassi livelli di ossigeno nell’acqua. Se queste aree subiscono un cambiamento, ad esempio diventano più secche, la materia organica si decompone rapidamente, rilasciando carbonio nell’atmosfera che legandosi a due atomi di ossigeno porterà alla formazione di anidride carbonica.

Biomi e stoccaggio di CO2

Per analizzare correttamente l’argomento dello stoccaggio dell’anidride carbonica è bene distinguere due concetti similari: a) la “capacità di stoccaggio di un ecosistema forestale” e b) “attuale stock di carbonio” in senso stretto (Heither K. 2009). Come capacità di stoccaggio di un ecosistema forestale deve essere intesa la propensione massima di un bioma ad accumulare il carbonio tenendo conto unicamente dei disturbi naturali (ad esempio incendi, vento, neve, valanghe, alluvioni, agenti biotici, ecc.); diversamente, se si tiene conto sia dei disturbi naturali che di quelli antropici in un ecosistema si parla di attuale stock di carbonio. La differenza tra i suddetti concetti è importante per comprendere l’impronta dell’uomo in una determinata area geografica.

In un ecosistema forestale, i fattori che influiscono maggiormente sullo stoccaggio di carbonio sono:

Struttura verticale ed orizzontale della foresta

La struttura verticale o distribuzione in strati verticali può essere monoplana, biplana o pluriplana. L’aspetto che differenzia queste tre strutture sono le altezze, similari e/o differenti, degli individui. Nei boschi monoplani, le chiome sono raccolte in un unico piano distinto; in quelli biplani sono presenti due piani sovrapposti e ben differenziati; nei multiplani le chiome si collocano ad altezza diverse, talvolta affiancate e talaltra sovrapposte. Quest’ultima struttura, rispetto alle altre due, è più complessa e stratificata, ed è in grado di sequestrare una quantità maggiore di carbonio visti i numerosi strati vegetazionali, disposti ad altezze differenti, ognuno con determinati individui, che sviluppano la propria chioma ottimizzando lo spazio a disposizione

A sinistra, esempio area boscata con una struttura complessa e stratificata. Gli individui presentano una chioma sviluppata ed espansa. A destra è rappresentato uno scenario opposto: pochi alberi con chioma rastremata e assenza di strati vegetazionali (McNeil 2019)
Composizione specifica

Da uno studio pubblicato dalla rivista Nature Geoscience (Martin et al. 2018)
che prende in esame 474 specie vegetali risulta che Cupressus arizonica Green (Figura 1.3) è la specie che accumula nel proprio legno più carbonio (59.2 %). Altre specie che sequestrano ingenti quantità di carbonio appartengono ai generi Juniperus, Thuja, Pinus, Abies e Sequoia. Al contrario, Quercus coccifera L. e Pinus teocote Schiede ex Schltdl. & Cham sono tra le specie con una minore percentale di
carbonio nel legno (28% circa). Da tali valori emerge quindi come la combinazione o composizione specifica di un bosco influisca molto sulla sua capacità di stoccare carbonio.

Clima

Nel caso di temperature fredde e precipitazioni moderatamente alte è favorito lo stoccaggio di anidride carbonica perché queste agevolano una lenta degradazione della sostanza organica, rendendo il suolo fertile (vedi Figura 1.9).

Presenza o assenza antropica


Segue la descrizione di quattro biomi, di particolare importanza vista la loro estensione, dei quali sono analizzati gli stock di carbonio in funzione del tipo di clima, della vegetazione e della fauna presenti.

Tundra

La parola “tundra” deriva dal lappone “tuntura”, che significa “pianura senza alberi”. Il bioma si estende a nord della fascia della foresta boreale dell’Europa, dell’Asia e del nord America, fino alla calotta polare artica.

Tipico paesaggio della tundra
Caratteristiche principali del bioma tundra

La tundra è caratterizzata da una vasta distesa con piccoli arbusti radi e poche specie vegetali. Le temperature sono molto basse nel corso di tutto l’anno e l’estate è molto breve. Il sottosuolo rimane perennemente gelato, formando il permafrost. In estate avviene il disgelo della parte superficiale del terreno che si impregna d’acqua formando stagni e acquitrini: ciò permette la crescita di erbe, muschi e licheni.


In base ad uno studio di Lal (2005), in un’area di tundra di 927 Mha la densità di carbonio per la vegetazione è risultata essere pari a 9 Mg/ha, mentre nel suolo è stato determinato un quantitativo di 105 Mg/ha. Risulta dunque maggiore lo stoccaggio di carbonio nel suolo, poiché il clima freddo e la ridotta attività di degradazione dei microrganismi del materiale organico a causa della breve stagione vegetativa, provocano in esso un accumulo della sostanza organica.
É inoltre da considerare la crescente concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera aumenta la temperatura terrestre che accelera l’attività microbica nel suolo e, di conseguenza, la decomposizione della materia organica, con un rilascio potenzialmente ancora maggiore di CO2. Il rilascio di gas serra proveniente dal suolo sarà particolarmente ingente nell’estremo nord Europa e in Russia, dove lo scioglimento del permafrost potrebbe portare all’emissione di grandi quantità, non solo di carbonio, ma anche di metano, un gas a effetto serra notevolmente maggiore rispetto all’anidride carbonica.

Taiga

Questo bioma è situato nella vasta fascia della foresta boreale e nello specifico in Canada, in Europa e nell’Asia settentrionale.

Tipico paesaggio della taiga
Dati sulle caratteristiche principali della taiga

Il paesaggio di questo bioma è caratterizzato dalle conifere, principalmente appartenenti ai generi Abies, Pinus e Larix. Il suolo è, in genere, poco adatto allo sviluppo del sottobosco. La crescita di erbe e arbusti è ostacolata dall’accumulo di aghi morti che acidificano il terreno e lo arricchiscono di sostanze resinose. Il tipo di vegetazione e di clima, l’accumulo di sostanza organica e il pH acido dell’humus innescano un processo pedogenetico specifico, denominato podzolizzazione, che porta alla formazione di spodosuolo.


Nello studio di Lal (2005), in un’area di taiga di 1372 Mha, la densità di carbonio per la vegetazione è risultata di 64 Mg/ha e di 343 Mg/ha nel suolo. Le foglie delle conifere sono solitamente persistenti (da 2-3 anni fino a 40 anni, come nel caso del Pinus longaeva D.K.Bailey), ad eccezione degli aghi caduchi del genere Larix. Il carbonio stoccato all’interno degli aghi rimane sequestrato fin quando questi non cadranno a terra ed inizieranno un lento processo di decomposizione. Il bioma della taiga è caratterizzato da un elevato valore di sequestro di carbonio nel suolo dovuto alla sua lenta decomposizione e mineralizzazione del materiale organico.

Foresta Temperata

Le foreste di latifoglie si trovano nella zona temperata dell’Emisfero Boreale.

Tipico paesaggio della foresta temperata
Dati sulle caratteristiche principali della foresta temperata

Il bioma è costituito da latifoglie dei generi Acer, Betula, Castanea, Fagus, Fraxinus, Quercus e Ulmus. Il suolo, ricco di materia organica, è molto fertile e nel sottobosco piante erbacee e cespugli hanno un certo sviluppo.


Lo studio di Lal (2005) ha individuato in un’area di 1038 Mha una densità di carbonio nella vegetazione di 57 Mg/ha e nel suolo di 96 Mg/ha. La quantità di carbonio stoccato nella vegetazione è di poco inferiore rispetto al bioma precedente (64 Mg/ha) poiché le caducifoglie perdono le foglie d’inverno e la loro decomposizione rilascia buona parte del carbonio (in atmosfera e in parte nel terreno). La foresta temperata è il bioma più alterato dall’azione dell’uomo, che nelle epoche precedenti è intervenuto con ampie deforestazioni per destinare più terra all’agricoltura, ridimensionandone dunque l’estensione.

La foresta tropicale

Le foreste pluviali sono situate nelle zone intorno all’Equatore, nello specifico in Amazzonia, nel Congo, nell’Asia meridionale continentale e insulare.

All’interno di una foresta tropicale – Image by © Paul A. Souders/CORBIS
Dati sulle caratteristiche principali della foresta tropicale

La densità della massa fogliare è talmente elevata da lasciar filtrare al suolo una limitata porzione di luce solare e non permettendo lo sviluppo di piante del sottobosco ad eccezione di felci e di alcune specie erbacee. Nel suolo lo strato di humus è ridotto a pochi centimetri di spessore poiché l’umidità e le temperature elevate provocano una rapida decomposizione dei resti organici. L’alta vegetazione offre a diverse specie di organismi la possibilità di distribuirsi in modo stratificato a differenti altezze dal suolo, dove essi trovano le condizioni di luce, umidità, temperatura, cibo e difesa più adatte alle proprie esigenze. Quest’ultimo aspetto, assieme al clima e temperature favorevoli, ha fatto sì che la foresta tropicale sia il bioma terrestre che contiene la maggiore diversità di specie vegetali e animali. Attualmente le foreste pluviali ricoprono un’area di 17 milioni km2 (Doug et al. 2011), ed ospita circa la metà delle specie esistenti sul pianeta terra. La biodiversità, oggi più che mai, è molto suscettibile ai cambiamenti climatici, ragion per cui dovrebbe essere tutelata e protetta. Il principale pericolo per questo bioma è la deforestazione legata al cambio d’uso del suolo che si ottiene asportando il popolamento forestale per destinare il terreno all’agricoltura: in tal modo non solo si distrugge l’habitat di alcune specie viventi, ma si trasforma il suolo in una fonte di emissione di carbonio, stimata intorno a 1.6-1.7 Pg/anno (IPCC, 2000).


Questo bioma non è importante solo per la biodiversità che contiene, ma secondo lo studio di Lal (2005) è la foresta tropicale il bioma che stocca più carbonio. In un’area studio di 1755 Mha, la densità di carbonio nella vegetazione è infatti risultata di 121 Mg/ha e nel suolo di 123 Mg/ha. Tali valori sono notevoli e dovuti all’elevata presenza di vegetazione, acqua e temperature favorevoli all’accumulo di carbonio non solo nelle chiome e nei fusti, ma anche nel terreno.

Note

Foto in copertina è di Francesco Audisio

Bibliografia e sitografia

Doug B., Calen M.-T., Katherine L., Sarah R. (2011). The Root of the Problem. Union of Concerned Scientists, Cambridge, Massachussets, USA.

Martin A.R., Doraisami M., Thomas S.C. (2018). Global patterns in wood carbon concentration across the world’s trees and forests. Nature Geoscience 11: 915-920.

Lal R. (2005). Forest soils and carbon sequestration. Forest Ecology and Management 220: 242–258.

www.ipcc.ch

2 Comments
  • Paola
    Posted at 11:55h, 09 Marzo Rispondi

    Un sito chiaro, intuitivo e ben organizzato. È un piacere leggere questi articoli ricchi di informazioni, ben strutturati e molto interessanti.

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